Alimentazione: la crisi avvelena i nostri piatti, anche i più semplici

piatti a tavola Che bizzarria e per giunta pure pericolosa. Produciamo in certe zone d’Italia, pensiamo alla Calabria, il peperoncino più buono del mondo e invece che facciamo? Dobbiamo andarlo ad importare dall’altro capo del pianeta, ad esempio, dal Vietnam. Risultato? Non solo non è più forte e gustoso di quello che produciamo in casa nostra, ma addirittura è pure velenoso! A delineare il rischio reale cui andiamo incontro con il peperoncino vietnamita è Coldiretti che ha rilevato come su oltre il 60 per cento dei prodotti esaminati, vi è presenza di sostanze inquinanti e pericolose per la nostra salute, ovvero, residui chimici di difenoconazolo, hexaconazolo e carbendazim, vietati in Italia sul peperoncino. Insomma, in una classifica ideale fra i prodotti meno commestibili e più velenosi per la nostra salute, uno dei primi posti spetta proprio al peperoncino del Vietnam che è stato importato in Italia lo scorso anno in quantità importanti, 273.800 chili, il che significa un’ingente quantità, se solo pensiamo le esigue dosi necessarie per condire cibi che gradiamo più piccanti. Insomma, per rendere più saporita una pietanza senza volerlo l’avveleniamo.  
“Un pericolo legato al fatto che, sotto la pressione della crisi, è sostenuto – sottolinea Coldiretti – il commercio di surrogati, sottoprodotti e aromi artificiali, oltre che di alimenti a basso costo ma a rischio elevato come dimostra il fatto che le importazioni agroalimentari in Italia hanno raggiunto la cifra record di 39 miliardi di euro nel 2013 con un aumento del 20% rispetto all’inizio della crisi nel 2007″.  
Bene, evitiamo di “piccare” la nostra minestra e stiamo tranquilli! Non basta solo scegliere di non mangiare piccante per metterci al riparo dai rischi sanitari di una certa alimentazione. Dovremmo pure dire basta alle lenticchie, se queste vengono ad esempio dalla Turchia, dove, secondo l’EFSA (l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), venti volte su cento hanno residui chimici, alla lunga tossici in eccesso e che dire delle arance dell’Uruguay che hanno residui di pesticidi nocivi alla salute, due volte su dieci sul campione importato e analizzato e fra questi figurano sostanze chimiche dai nomi difficili da ricordare come imazalil ma anche fenthion, e ortofenilfenolo, che hanno un unico denominatore comune, in Italia sono vietati. Che il rischio sia quanto mai reale lo dimostra anche il fatto che non parliamo di importazioni eccezionali, dove la quantità di alimenti acquistati fuori dall’Italia si risolve in sporadiche importazioni e quantitativi limitati. Parliamo, ad esempio, per le sole lenticchie della Turchia, di ben un milione e seicentomila chili di prodotto. Ma la lista prosegue con le melagrane dalla Turchia (40,5% di irregolarità), i fichi dal Brasile (30,4%) , l’ananas dal Ghana (15,6%), le foglie di the dalla Cina (15,1%) le cui importazioni nei primi due mesi del 2014 sono aumentate addirittura del 1.100%, il riso dall’India (12,9%) che con un quantitativo record di 38,5 milioni di chili nel 2013 è il prodotto a rischio più importato in Italia, i fagioli dal Kenia (10,8% di irregolarità) ed i cachi da Israele (10,7%). Eppure, a dispetto delle politiche di globalizzazione a tutti i costi da parte di coloro che hanno ritenuto che acquistando ovunque nel mondo ne avremmo tratto vantaggio, la cosa che fa più rabbia è che dovremmo essere noi veri esportatori di alimenti del settore agroalimentare e dovremmo essere noi, col nostro made in Italy ad assicurare agli italiani un cibo sano e nutriente e, soprattutto, al riparo da agenti chimici inquinanti, se solo si pensa ai livelli di sicurezza da record dei nostri prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite di appena lo 0,2% che sono risultati peraltro inferiori di nove volte a quelli della media europea (1,6% di irregolarità) e addirittura di 32 volte a quelli extracomunitari (7,9% di irregolarità), sulla base delle elaborazioni Coldiretti sulle analisi condotte dall’Efsa e del piano coordinato europeo dei controlli sui residui fitosanitari. “Un pericolo che colpisce ingiustamente soprattutto quanti dispongono di una ridotta capacità di spesa a causa della crisi e sono costretti a rivolgersi ad alimenti a basso costo dietro i quali spesso si nascondono infatti ricette modificate, l’uso di ingredienti di diversa qualità o metodi di produzione alternativi. Dall’inizio della crisi – ricorda la Coldiretti – sono più che triplicate in Italia le frodi a tavola con un incremento record del 248% del valore di cibi e bevande sequestrati perché adulterate, contraffate o falsificate sulla base della preziosa attività svolta dai carabinieri dei Nas dal 2007 al 2013″. Giuliano Fonte: Help Consumatori Sei il Visitatore N. contatore
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