Facebook: rischiano dieci anni di galera dipendenti pubblici che lo usano a lavoro

Il fatto ha destato e continua a destare scalpore e riguarda cinque impiegati comunali della provincia di Forlì-Cesena che sono stati denunciati per il reato di peculato e abuso d’ufficio. Potrebbe sembrare un normale fatto di cronaca giudiziaria se non presentasse una particolarità. A mettere nei guai gli impiegati stavolta è stato Facebook. Se l’accusa dovesse essere fondata, gli impiegati in questione rischiano fino a 10 anni di galera. Lo prevede l’art 314 del Codice Penale, che definisce il peculato, “il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”. Certo è che, al di là della possibilità che si giunga ad una condanna tanto pesante per questi impiegati pubblici, la Magistratura ha al vaglio tutta la documentazione che ora è in mano agli inquirenti, a partire dai computer sequestrati per esaminare le tracce dei file scaricati da Facebook. Fatto sta che delineare una linea di demarcazione netta fra l’utilizzo di network a lavoro o concedere l’utilizzo di chat e strumenti del genere solo nelle pause non è stata ancora attuata. Basti solo sapere che oggi la metà delle aziende blocca con decisione tutti i network all’interno del contesto lavorativo. Non mancano le polemiche avverso a tali decisioni. Infatti, secondo l’Università di Melbourne, i social network possono aumentare la produttività di un dipendente anche del 10%, chiaramente se fatta cento la torta relativa ad una giornata lavorativa, l’uso di Facebook, ad esempio, venga utilizzato per non più del 20% dell’orario di lavoro. Ma c’è chi invece sostiene il contrario, ad esempio coloro che, scienza alla mano, sostengono che l’utilizzo di Facebook &Co richieda un assorbimento di risorse di rete elevato e un alto grado di rischio per la sicurezza. Specialmente per quelle aziende che trattano dati sensibili. Facebook si, Facebook no…. Vedremo. Ma intanto che dice la giurisprudenza nel merito? Ricordiamo una recente Sentenza della Cassazione che, appunto, con Sentenza 41709/10, ha assolto un impiegato comunale piemontese dall’accusa di aver impiegato la Rete per scopi privati. Oltretutto lo stesso impiegato aveva pure utilizzato un cellulare aziendale per mandare sms ad amici e parenti. Nell’assolvere l’operato del dipendente pubblico, gli Ermellini hanno di fatto affrancato l’uomo da ogni ripercussione penale per l’uso improprio del cellulare, stante l’esiguità del numero di sms inviati…. E, a proposito della connessione ad Internet, non hanno ritenuto che l’operato del dipendente potesse essere di nocumento all’azienda in quanto la tariffa della connessione non era a tempo, trattandosi di una connessione flat. Resta però da capire se un impiegato pubblico, al di là della tentazione di passare più del tempo dovuto in Internet a chattare o fare altre cose affini, possa rischiare di inviare dati sensibili con i quali abbia a che fare nel suo lavoro, per il semplice gusto di evadere dalla routine lavorativa. Vedremo stavolta come va a finire! Giuliano Marchese
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