Ci stupiamo delle alluvioni: ecco cosa avviene nella sola Italia

Olbia, provincia di Olbia-Tempio, Sardegna, Italia (AP Photo/Massimo Locci)

Olbia, provincia di Olbia-Tempio, Sardegna, Italia
(AP Photo/Massimo Locci)

Si perde terreno al ritmo di 8 metri quadrati al secondo. E negli ultimi tre anni, la superficie di territorio consumato continua ad aumentare, tanto che sono stati ricoperti 720 km2 di suolo, un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo. La crisi non ferma questo fenomeno, che ha un impatto sui cambiamenti climatici, sull’acqua e sull’agricoltura. I dati sono stati resi noti oggi dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Nel 2012 non accenna a diminuire il consumo di suolo, tanto che in tre anni è stata divorata un’area grande quanto cinque capoluoghi di regioni: in termini assoluti, si è passati da poco più di 21.000 km2 del 2009 ai quasi 22.000 km2 del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3% del nostro territorio. Ma di quale fenomeno si tratta?   “Il consumo di suolo – spiega l’Ispra – deve essere inteso come un fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale. Il fenomeno si riferisce, quindi, a un incremento della copertura artificiale di terreno, legato alle dinamiche insediative. Un processo prevalentemente dovuto alla costruzione di nuovi edifici, capannoni e insediamenti, all’espansione delle città, alla densificazione o alla conversione di terreno entro un’area urbana, all’infrastrutturazione del territorio”. E’ dunque ancora record (negativo) tanto che si perde terreno al ritmo di 8 metri quadrati al secondo, e non solo per colpa dell’edilizia: in Italia si consuma suolo anche per costruire infrastrutture, che insieme agli edifici ricoprono quasi l’80% del territorio artificiale (strade asfaltate e ferrovie 28%; strade sterrate e infrastrutture di trasporto secondarie 19%), seguite dalla presenza di edifici (30%) e di parcheggi, piazzali e aree di cantiere (14%). Questo fenomeno ha un forte impatto sui cambiamenti climatici: la cementificazione galoppante ha comportato, dal 2009 al 2012, l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2 per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro. Non solo: la trasformazione di suolo agricolo in cemento ha un impatto sulla capacità di produzione agricola e sull’acqua. Spiega l’Ispra: “In questi 3 anni, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 mm di precipitazioni – per via della conseguente impermeabilizzazione abbiamo perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita”. Per gestione si intende ad esempio la spesa relativa alla manutenzione e alla pulizia di canali e fognature. Secondo uno studio, un ettaro di suolo consumato porta a una spesa di 6500 euro per la manutenzione: di conseguenza, il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012 è stato stimato intorno ai 500 milioni di euro. C’è pure una classifica delle regioni più cementificate: Lombardia e Veneto, con oltre il 10%, mantengono il “primato nazionale” della copertura artificiale, mentre Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia si collocano tutte tra l’8 e il 10%. I comuni più cementificati d’Italia rimangono Napoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%), Monza (48,6%), Bergamo (46,4) e Brescia (44,5). Ufficio Stampa Help Consumatori Sei il Visitatore N.contatori
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