Facebook: finire in galera a causa del noto social network

Incorre nel reato di peculato (art. 314 c.p.), il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilita’ di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria ed e’ punito con la reclusione da tre a dieci anni. Perchè parliamo di questo reato? perchè è l'accusa che ricadrebbe su cinque dipendenti pubblici scoperti in Internet a chattare, alcuni, a collegarsi su Facebook altri, a scaricare materiale pornografico altri ancora. Fino adesso l'overdose di Facebook, solo per citare il più noto social network del momento, aveva portato al licenziamento per giusta causa solo i dipendenti di aziende private. Per quanto concerne il pubblico, al massimo, si era giunti ad un richiamo scritto con eventuali sanzioni di natura disciplinare, ma finire alla sbarra con l'accusa di peculato ci sembra davvero eccessivo. E, invece si, in un Italia che manda a casa i responsabili di delitti efferati, con la scusa della non reiterazione del reato, si assiste anche alla possibilità che un impiegato pubblico rischi addirittura la galera per aver usato un bene come il computer per motivi non strettamente di lavoro. Tuttavia nello specifico non stiamo a discutere della differenza di peso e di misure che la Giustizia italiana applica per certi reati e non in altri. Semmai si tratta di capire se, nello specifico, è ammissibile paventare il reato di peculato nei confronti di quei dipendenti che con il loro operato sarebbero incorsi in quelle infrazioni. Più facile a dirsi che a comprendersi, per tutta una serie di motivi. La prima. Può un datore di lavoro, qual'è nello specifico, l'Amministrazione Pubblica, indagare, spiare il dipendente al punto da scoprire un uso distorto del proprio computer di servizio, attesa il divieto di telecamere di controllo da piazzarsi sul dipendente stesso o la possibilità di terzi di spiare il monitor del funzionario o del semplice impiegato? Ma a complicare la cosa e, chissà, a dare speranza ai cinque malcapitati impiegati pubblici sorpresi a tutt'altro affaccendarsi sui computer loro in uso ma di proprietà della Pubblica Amministrazione, affinchè il fatto non sussista, ci pensa un recente pronunciamento della Corte di Cassazione, VI Sezione Penale che, con Sentenza del 15 aprile 2008 (dep. 21 maggio 2008), n. 20326, avrebbe stabilito che in presenza di contratti Flat, che sono quei contratti la cui navigazione viene pagata a fronte di un abbonamento che non prevede dunque la tariffa a tempo, non configurandosi alcun dannno economico per la collettività, almeno per quanto concerne i costi di Internet a carico della P.A., decadrebbe sicuramente il reato di peculato. Semmai, in vista di un comportamento del genere potrebbero configurarsi altri provvedimenti disciplinari che non contemplano tuttavia alcuna sanzione penale.
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